sabato 12 agosto 2017

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Nella pianura inclemente dove la speranza non muore
(di Cinzia Dilauro)
Bisogna nascerci a queste latitudini, per avvertire il senso di smarrimento che può suscitare una pianura così inclemente, dove la natura è stata divelta e violata a tal punto che l'unica cosa che attecchisce è l'abbrutimento di chi la abita. È Nella perfida terra di Dio che Omar Di Monopoli conduce il lettore con il suo ultimo romanzo, confermando, ancora una volta, le sue doti di scrittore, la sua capacità di narrazione e la sua potenza espressiva. Di Monopoli tira tutti dentro con il suo linguaggio ibrido, quasi una idioma, una mescolanza di parole "inzaccherate" e rozze che s'intrecciano a termini colti, aulici e persino fonosimbolici. Il risultato è una sorta di intensa modulazione atavica e nobile allo stesso tempo.
Una galleria di personaggi foschi, di più, "brutti, sporchi e cattivi", popola un presente compromesso fin dall'inizio. Fin dalla divina apparizione al capostipite della famiglia, a mbà Nuzzo. Sullo sfondo il Mar Piccolo di Taranto e lo sviluppo malato dell'Italsider degli anni Ottanta, da dove la sua crisi mistica innesca una serie di eventi sempre più funesti, in cui ognuno trova l'occasione per esprimere tutte le sfumature della corruttibilità dell'uomo.
Criminali impegnati nella scalata al potere, creduli devoti in fila alla fiera dei miracoli e persino un nugolo di suore con il piglio affarista della madre superiora, probabilmente la più spietata tra tutti, tessono la trama di una storia che appiccica addosso polvere e sporco, toglie il fiato e spazza via ogni speranza.
A guardare, schivare e tentare di sopravvivere a tutto, Gimmo e il suo fratellino Michele, figli di Tore Della Cucchiara che, dopo la morte del suocero mbà Nuzzo, torna all'improvviso a rocca Bardata a sparigliare carte e destini che sembravano segnati. E tutto cambia. Gli equilibri si rompono, il passato è rigurgitato fuori dalla terra infetta e piena di scorie. Non c'è scampo e non c'è salvezza, sangue chiama. sangue e la vendetta non può più aspettare. "Dio non c'è. Siamo soli. Viviamo come capita e poi tutto finisce. Non c'è altro".
Eppure. Eppure, ci si scopre a nutrire un pensiero fin dalla prima pagina, accudendolo come un fiore nato tra le crepe dell'asfalto. È l'unico lumicino di speranza che l'autore decide di non smorzare, lasciando però al lettore la decisione di alimentarlo. È il futuro dei due fratelli e la possibilità di scegliere la propria strada piuttosto che quella di chi li ha preceduti.

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