mercoledì 5 novembre 2014

invasati...

«Per me la cosa ebbe inizio verse le sei pomeridiane, una sera di giovedì 13 agosto 1953, quando accompagnai il mio ultimo cliente, una lussazione al pollice, alla porta laterale del mio studio, convinto che la mia giornata lavorativa non fosse ancora giunta al termine. E mi augurai di non essere un medico, perchè di solito nel mio mestiere dei presentimenti come questi sono fondati. Una volta sono partito per le ferie, sicuro di ritornare dopo uno o due giorni; cosa che avvenne puntualmente, infatti, a causa di un'epidemia di rosolia. Sono andato a letto talvolta, stanco morto, sapendo che dopo un paio d'ore avrei dovuto alzarmi per recarmi in macchina in qualche fattoria.
Sedetti alla scrivania, aggiunsi una annotazione nella cartella clinica del mio cliente, e bevvi un sorso di cognac medicinale allungato con soda, cosa questa che non faccio quasi mai. Ma lo allungai con la soda quella sera e, mentre guardavo giù nel Corso, dalla finestra che si trova dietro la scrivania, centellinai la bibita. Avevo dovuto operare una caso d'appendicite improvvisa, e non avevo mangiato, a mezzogiorno. Mi sentivo nervoso e quindi pensai di distrarmi guardando giù nella stradam tanto per cambiare.
Così, quando udii bussare leggermente alla porta esterna, quella della sala d'aspetto, decisi di far finta di niente, in modo che, chiunque fosse il visitatore, se ne andasse al diavolo. Ora, questo si può fare in qualsiasi professione, ma non nella mia.»

L'invasione degli ultracorpi
Jack Finney (Ed. Monadori)

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