giovedì 13 maggio 2010

Viggo on the road (again!)

Ai cultori di Cormac McCarthy il suo ultimo La strada (Premio Pulitzer 2007) aveva fatto uno strano effetto: il monumentale bardo del Texas (originario però del Tennessee) in questo romanzo abbandona infatti deliberatamente la sua consueta prosa faulkneriana per adottare un modulo di scrittura paratattica, che asciuga sino all'essenzialità le sue famose descrizioni barocche e limita - se possibile - ancor di più l'introspezione psicologica dei personaggi messi in campo. Chi quindi aveva sbavato dinanzi all'incredibile potere evocativo della Trilogia della Frontiera (naturalmente il titolare del blog è parte di questa sempre più corposa schiatta), pur restando ammirato dalla resa di questa storia di padri e figli in mezzo alla catastrofe - McCarthy è comunque irraggiungibile, anche quando scrive la lista della spesa - non poteva che constatare quanto l'autore stavolta non avesse inventato assolutamente nulla ma si fosse limitato a risputare materiale fantascientifico noto in un packaging appetibile anche a chi non abbia dimestichezza con A Boy and His Dog di Harlan Ellison o semplicemente con i vari Mad Max cinematografici. Eppure, considerazioni di merito letterario a parte, aveva suscitato grande entusiasmo la notizia che ad occuparsi della trasposizione cinematografica di questo romanzo sarebbe toccato a Joe Penhall e John Hillcoat (chi meglio del regista del western più mccarthyano che ci sia in circolazione: The proposition, avrebbe potuto rendere il pessimismo stratificato che impregna le pagine del grande scrittore?).
Il prodotto finale, invece, passato tra mille beghe produttive e distributive (al momento non si capisce se è uscirà o meno in italiano) purtroppo soddisfa poco e niente le aspettative degli appassionati. Interpretato da un Viggo Mortensen stranamente al minimo sindacale, il padre-protagonista che vagola con la sua prole in un universo post-apocalittico cercando di dare un senso alla propria vita è, nella pellicola di Hillcoat, un ingrigito automa incapace di qualsiasi afflato emotivo, un ometto che neanche per un istante sembra in grado di instaurare un reale contatto empatico col figlio (tra l'altro interpretato da un attore-bambino assai poco espressivo). Da denuncia l'inutile abuso dei flashback (con la Theron che fa bella mostra di sé come mamma prima perfettina e poi isterica) mentre i cumuli di macerie - che pure infestano la pellicola - non arrivano mai a fornire nello spettatore quel senso di claustrofobica rassegnazione che trasuda da ogni pagina del libro (persino L'ultimo uomo della terra, scalcagnata versione filmica di Matheson del 1964 a firma Ubaldo Ragona, era riuscito a fare meglio).
Sconcerto e delusione: perché questo regista è uno con due palle così, e persino la colonna sonora del duo Nick Cave-Warren Ellis, generalmente pirotecnico, qui piuttosto che contribuire al milieu derelitto sembra addirittura distrarre, portare lontano dal deserto (affettivo oltre che materiale) che raggela i personaggi, accompagnando la pellicola verso quel finale fintamente ottimista che ribalta e tradisce i presupposti del romanzo facendone una storia amorfa, indecisa tra la contemplazione del Male tanto cara all'autore e una deriva hollywoodiana che comunque non ha salvato il film dal flop al botteghino. Peccato, occasione mancata. Peccato. Hillcoat, resti comunque uno da seguire.

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